
Che cosa significa educare? Quali strade possiamo provare a percorrere, come genitori, insegnanti o educatori, per accompagnare i ragazzi lungo i sentieri dell’educazione? E come possiamo far fronte al necessario impegno per l’educazione in questo nostro tempo, profondamente segnato dalla rivoluzione digitale?
Sono domande frequenti, le cui risposte difficilmente possono trovare lo spazio che meritano all’interno di un post come questo, diciamolo subito. Ma ne ha parlato qualche giorno fa, nel corso di un incontro, il prof. Ezio Risatti (SDB), psicoterapeuta e preside dell’Istituto Universitario Salesiano di Torino Rebaudengo (IUSTO). Mi è sembrato un incontro interessante e allora provo qui a riordinare un po’ delle mie riflessioni e degli appunti che ho preso.
Il punto di partenza per dare avvio a questa riflessione è certamente il fatto che i tempi sono cambiati. E, se è vero che il tempo cambia sempre e che anche in passato i tempi erano diversi da quelli che li avevano preceduti, la velocità di cambiamento del tempo di oggi è probabilmente più elevata di prima. Pensiamo, per fare un esempio, a questi ultimi dieci anni. Quanto è cambiata la scuola in questi anni? Quanto siamo cambiati noi stessi, le nostre relazioni, il nostro modo di gestire il nostro tempo? Ma il cambiamento dei tempi coinvolge senza dubbio anche i processi educativi, al punto che possiamo fare almeno due considerazioni di partenza:
- Gli adulti di oggi fanno più fatica a comprendere la vita dei più giovani partendo dalla propria esperienza personale. Un adulto di oggi, diciamo un quarantenne, ma anche in trentenne alle prese con il primo incarico da insegnante o il primo figlio in arrivo, è nato e cresciuto in un tempo in cui la società non era così profondamente intrisa di tecnologia. La diffusione di internet, l’accesso alla rete tramite smartphone reperibili sul mercato a prezzi accessibili ai più, lo sviluppo dei social media e degli strumenti di messaggistica istantanea non sono nate poi così tanto tempo fa. Certo, già a metà degli anni novanta il mercato ci proponeva i primi telefoni cellulari e, dieci anni dopo comparivano i vari social network che oggi utilizziamo tutti. Ma oggi, lo possiamo dire senza timori, la presenza della dimensione digitale nella nostra vita è così forte che molte cose sono cambiate, anche nelle relazioni. Cosa ne sa un adulto di oggi di come si sente un tredicenne quando viene preso in giro sulla chat della classe su Whatsapp? Cosa sappiamo delle conseguenze che ha su un preadolescente rimanere connesso con gli amici praticamente giorno e notte, togliendo ore preziose al riposo notturno? Per non parlare della possibilità di essere vittime di fenomeni come il cyberbullismo, in grando di amplificare in modo esponenziale l’esperienza già traumatica del bullismo e della violenza sui più giovani? Insomma, agli adulti di oggi manca spesso la possibilità di aiutare i giovani a interpretare la propria vita, partendo da quella che è stata la loro esperienza personale e dicendo, come un tempo, “ci sono passato anche io, so cosa vuol dire…”. Gli adulti di oggi, possiamo dirlo, non sono passati nella loro gioventù attraverso le esperienze che vivono oggi gli adolescenti e, in questo senso, faticano, ancor più che in passato, a comprenderli.
- Il futuro di questi giovani è davvero imprevedibile. Questa non è una novità. Ogni generazione, presente come in passato, può soltanto immaginare come sarà il futuro dei più giovani. La statistica aiuta, la ricerca scientifica pure, gli andamenti dei mercati, le tendenze di innovazione e molto altro possono provare a fornirci una approssimazione di quello che accadrà fra, diciamo, 15 o 20 anni. Ma si tratta di idee, che il più delle volte poi non trovano riscontro nella realtà. Oggi, ancora una volta, possiamo certamente dire che questa difficoltà risulta ancora più evidente. L’espansione delle possibilità che la tecnologia ci offre e la velocità con la quale ciò sta avvenendo ci permette di pensare, con assoluta cognizione, che una buona parte degli adolescenti di oggi vivrà da adulto in un mondo che oggi non è immaginabile in termini di possibilità e di stili di vita e svolgerà un’attività lavorativa che probabilmente ancora deve essere inventata.
Alla luce di tutto questo, allora, qual è la via percorribile per l’educazione? Come si possono preparare e accompagnare i più giovani verso un mondo complesso, che presenterà sfide oggi non immaginabili? Sebbene sia complesso dare a queste domande una risposta univoca, possiamo concordare sul fatto che sia importante favorire processi di educazione ai valori. Un giovane “preparato” oggi sui valori, un giovane che ha maturato il senso della giustizia, dell’onestà, della fraternità o della libertà, sarà un adulto domani in grado di adattare queste competenze nei contesti mutevoli in cui potrà trovarsi. Cambieranno gli scenari, le richieste del mercato del lavoro, le situazioni relazionali e professionali ma se abbiamo una solida padronanza dei valori saremo in grado di affrontare il mutare delle situazioni attraverso quelle competenze di base che ci rendono cittadini adulti nella società. Per farlo, però, servono almeno tre ingredienti:
- Testimonianza. L’educazione ai valori ha innanzitutto bisogno di buoni testimoni tra il mondo degli adulti. Educare all’onestà richiede gesti quotidiani di onestà, educare alla giustizia richiede gesti di giustizia, educare alla solidarietà richiede gesti di solidarietà, e così via. I ragazzi ci guardano, forse con più attenzione di quanto crediamo. E il nostro modo di agire, le scelte che facciamo, lo stile di vita che cerchiamo di condurre parla più delle nostre parole. Qualcuno potrebbe allora chiedersi: servono insegnanti perfetti? No di certo. Servono adulti credibili, non infallibili, ma capaci semmai di accettare l’idea di sbagliare, persone in grado di accompagnare ciò che dicono con quello che fanno, di gesti concreti, quotidiani e magari anche silenziosi. Educare ai valori, allora, richiede innanzi tutto la pratica ordinaria degli stessi valori, la coerenza tra il dire e il fare, il compimento di scelte e la presa di responsabilità che sempre ne deriva.
- Risonanza. Se la testimonianza è vera, questa fa risuonare le corde del cuore delle persone che vi assistono. Di questo abbiamo tutti esperienza. La nostra testimonianza di vita, le nostre scelte, quelle importanti come le più semplici, è davvero capace di toccare il cuore dei ragazzi. E su questo possiamo far leva, per educare ai valori. È una forma di empatia: un gesto compiuto per giustizia da un adulto, muove le corde della giustizia nel cuore del giovane che lo guarda; e lo stesso vale per i gesti di onestà, di solidarietà, di gratuità ecc. Forse la fatica che sentiamo maggiormente in questo tempo è proprio quella di toccare il cuore di chi ci guarda. Ma è anche la via maestra da percorrere, se vogliamo che l’esperienza che i più giovani fanno con noi sia significativa per la vita di ciascuno.
- Esperienza. Se la testimonianza degli adulti ha generato la sua risonanza nei più giovani, ecco il momento di proporre loro un’esperienza significativa per mettere in pratica quei valori che desideriamo trasmettere. Le modalità possono essere tante. Quanti gesti di onestà, di giustizia, di responsabilità sociale, di solidarietà o di servizio possiamo porre in essere già nelle nostre scuole? Spesso già lo facciamo, ne sono sicuro, magari anche grazie allo zelo di qualche insegnante più ferrato su queste cose. Si tratterebbe allora di rendere più sistematica una metodologia formativa fondata sull’esperienza, come occasione per consolidare un bagaglio di valori utili per la vita.
Si tratta a ben vedere di un circolo virtuoso. Testimonianza che genera risonanza, che ha sua volta porta a fare esperienza. Ma fare esperienza nella pratica dei valori potrà condurre a nuove testimonianze di bene, che porteranno a nuove risonanze ed esperienze. E così via. Sarà l’impegno paziente dell’educatore e fare il resto, insieme a quel necessario ottimismo nei confronti del futuro che deve accompagnare chi sceglie di affrontare questo compito così importante.