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Smartphone a scuola. Tra divieti e percorsi educativi.

Mentre in Italia suonano le ultime campanelle dell’anno scolastico, arriva dalla Francia la notizia che l’Assemblea nazionale ha dato il via libera alla proposta di legge per vietare l’uso degli smartphone nelle scuole. Il provvedimento, già annunciato durante la campagna elettorale del presidente Macron, entrerà in vigore a partire dal prossimo mese di settembre e riguarderà, in effetti, le scuole elementari e medie per le quali smartphone e tablet saranno messi al bando.

Ora, al di là del fatto che a mio modo di vedere un ragazzino delle elementari nemmeno dovrebbe avere uno smartphone tutto per sé, e che uno studente delle medie potrebbe, forse, averne uno, ma per un tempo limitato durante la giornata, il tema è più ampio e merita una riflessione: sarebbe giusto anche per l’Italia un provvedimento che proibisse agli allievi (pensiamo ad esempio alla scuola superiore) anche solo di portare il telefono a scuola, o li costringesse comunque a lasciarlo dentro a un armadietto prima di entrare in classe?

Alla base della questione c’è un dato di fatto. Gli studenti — soprattutto gli adolescenti — passano molto (troppo) del loro tempo a scuola con lo sguardo fisso sullo schermo degli smartphone, tra Whatsapp, Snapchat, Facebook, Instagram, selfie, giochi, video e tutto il resto. Lo sa bene chi sta dall’altro lato della cattedra: nonostante richiami ripetuti, prese di posizione, ritiro degli apparecchi e tante altre misure adottate, la tentazione della sbirciatina alle notifiche è spesso troppo forte e lo studente prima o poi ci casca. Resistere alle tentazioni, per la verità, non è facile nemmeno per noi adulti. Forse talvolta anche l’insegnante non è da meno e, con la scusa di guardare l’ora, un’occhiatina al cellulare la dà pure lui…

La soluzione adottata dal parlamento francese, allora, rappresenta di certo una possibilità. Probabilmente è il modo più semplice di approcciare il problema. Per far sì che gli studenti dedichino meno tempo al cellulare e più alla lezione, basta vietare agli studenti di portare il cellulare in classe. Ecco fatto.

Ma il punto è: questa scelta risolve il problema? Ecco perché io penso di no.

Le distrazioni esistevano anche prima degli smartphone. Io ho fatto la scuola superiore a metà degli anni novanta. All’epoca quasi nessuno di noi aveva un telefono cellulare; i più fortunati ne avevano uno che spesso serviva all’intera famiglia e magari era messo a disposizione del più giovane durante un’uscita serale, giusto per avvisare casa di fronte a un imprevisto. Eppure a scuola ci si distraeva ugualmente. Chi di noi non ha mandato messaggi ai compagni di classe, attraverso un bigliettino appallottolato che passava di mano in mano dal mittente al destinatario? Chi, almeno una volta, non ha giocato a tris durante l’ora di latino o a battaglia navale nell’ora di inglese? E, al posto delle foto, quanti di noi passavano il tempo a disegnare caricature dei prof e dei compagni?

Certo lo smartphone amplifica le nostre possibilità: se un tempo con un bigliettino potevo limitarmi a conversare con un compagno all’interno della classe, oggi con Whatsapp posso superare i confini dell’aula e anche della scuola; posso anche intrattenere più di una conversazione contemporaneamente o coinvolgere nella chat più di una persona; ma, di fatto, sto togliendo tempo alla lezione tanto quanto accadeva prima. Eppure, oggi come allora, quando c’è un insegnante che sa tenere desta l’attenzione della classe, che è percepito come un punto di riferimento per gli studenti, che parla alla vita di chi ascolta, che sa mettersi in dialogo, che apre spazi di pensiero, di condivisione, di confronto e libertà, i telefoni restano, nella maggior parte dei casi, negli zaini.

Una via per superare il problema, allora, potrebbe essere proprio questa. Pensare a una scuola che sa vincere la tentazione della noia, investendo sulla relazione docente-allievo e stimolando la creatività, la cooperazione e il confronto. Consapevoli che la tentazione è forte — e anche che a volte avrà la meglio — forse in questo modo aiuteremo i ragazzi a darsi autonomamente degli spazi di disconnessione di cui tanto avranno bisogno anche al di fuori delle pareti scolastiche.

La scuola, in ogni caso, deve coltivare la fiducia nei suoi studenti. Un divieto a priori è anche un modo per dire all’allievo “non mi fido di te, quindi meglio prevenire il problema, che doverlo sanzionare”. Su questo la scuola ha bisogno di cambiare prospettiva. In un contesto come il nostro, di individualismo e diffidenza, credo ancora che la scuola possa giocare un ruolo determinante nel far sentire i ragazzi accolti per come sono, con le fragilità di tutti e con i limiti di ogni esperienza. È vero che se i ragazzi lasciassero a casa gli smartphone si farebbe prima; ma è altrettanto vero che lo sforzo che dobbiamo fare deve essere quello dell’educazione ad un uso sensato di questi strumenti.

Educare i ragazzi a mettere via il cellulare durante la lezione può essere anche frustrante — a volte è una vera scocciatura — ma è anche un’opportunità di far comprendere ai più giovani che ci devono essere dei momenti in cui, magari a fatica, è importante essere più presenti nel reale, che nel digitale. Sarà, questa, una lezione che potrà diventare molto ultile in altri momenti della vita, al lavoro innanzitutto, là dove i divieti non saranno espressi.

È, infatti alla vita che la scuola deve saper parlare. Sono convinto che la scuola non possa davvero prescindere dall’esperienza digitale che oggi i più giovani fanno anche attraverso lo smartphone. Pena l’allargamento del divario tra la scuola e la vita, già tante volte percepito come incolmabile. I ragazzi hanno bisogno di comprendere che la scuola è davvero significativa per ciascuno di loro, nel presente e nel futuro. Se il legame con lo smartphone è così stretto nelle esperienze dei nostri giovani, la scuola non può far finta di niente: meglio sarebbe accompagnarli nell’uso consapevole di questi strumenti, così da coglierne gli aspetti positivi e migliorativi della vita di ciascuno (accesso alle informazioni, possibilità di connessione tra le persone e tanto altro…).

Per fare questo, però, la scuola ha bisogno di un approccio positivo al tema, che allontana i pregiudizi, che investe nella formazione dei docenti e che sa accettare qualche sconfitta nel breve periodo.

4 risposte su “Smartphone a scuola. Tra divieti e percorsi educativi.”

Sono daccordo e vado oltre.
Probabilmente il problema è nel “cattivo” uso dello smartfone è degli adulti che ne fanno uso, compresi i genitori i docenti fino ad arrivare ai figli.
Altro problema nessuno insegna ad usare uno smartfone, e il loro utilizzo è lasciato all’estrema facilità con cui si può approcciare ai principali social che tutti noi conosciamo bene. (questi si che sono maestri capaci di coinvolgere i giovani e i meno giovani, spesso solo per i loro interessi, ma comunque raggiungono i risultati)
I docenti dovrebbero essere i primi ad imparare come si usa in modo efficente uno smartfone per poi poterlo insegnare con convinzione ai loro allievi.
Si parla tanto di nuove tecnologie dell’era digitale da inserire nelle scuole e poi si vuole lasciare fuori dalle aule quello che secondo me è probabilmente il più efficate e meno costoso per la scuola.
Proviamo ad aprire gli occhi per incominciare a capire le opportunità che strumenti di questo tipo già sono in grado di ofrire a costi pressochè pari a zero

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