Non è un quadro confortante quello che emerge dell’Italia dai dati contenuti nel DESI 2018, l’indice di digitalizzazione dell’economia e della società elaborato dall’Unione Europea per l’anno in corso. L’Italia è penultima in Europa per quanto riguarda l’uso di internet per le attività quotidiane e solo venticinquesima (su ventotto) rispetto alla competitività digitale in generale. Peggio di noi fanno solo Bulgaria, Grecia e Romania (quest’ultimo è però il paese europeo che ha avuto il maggior incremento dell’uso quotidiano di internet nell’ultimo anno).

In particolare, noi italiani siamo ultimi in classifica (sì, gli ultimi…) per quanto riguarda l’utilizzo del web per la lettura dei giornali e la ricerca di news, ma non ce la caviamo tanto meglio neppure per quel che riguarda l’acquisto di prodotti online o l’internet banking. Siamo tradizionalisti? Forse. Di fatto, in un modo o nell’altro abbiamo spesso lo sguardo fisso sullo schermo dei nostri smartphone. Cosa facciamo? Prevalentemente ascoltiamo musica, guardiamo video o giochiamo online (su questi aspetti siamo 14esimi, a metà classifica). E poi ci sono i social network, che tuttavia, al di là di quello che si potrebbe pensare, non sono utilizzati in modo tanto diverso nel resto d’Europa. Stando ai dati, il 61 per cento degli italiani che ha usato internet negli ultimi tre mesi ha avuto accesso ai social, contro una media europea del 65%.
Certo il dato relativo all’informazione è tra i più preoccupanti. Anche perché, un basso utilizzo di internet per leggere le news non corrisponde affatto ad un aumento del numero dei giornali cartacei venduti. Anzi. Nel commento al DESI 2018, la commissione Ue legge il dato come conseguenza dell’utilizzo crescente dei servizi a pagamento da parte delle testate giornalistiche online, ma di certo questa non può essere l’unica causa (anche perché non si tratta di un fenomeno esclusivamente italiano).

Altrettanto significativo è il fatto che siamo prevalentemente restii a svolgere in rete operazioni quotidiane che ci farebbero risparmiare tempo e, talvolta, denaro. I dati sull’e-banking ci dicono questo. Per effettuare un bonifico online mi bastano cinque minuti, a casa, sul divano dopo il lavoro. Se voglio andare allo sportello devo presentarmi in banca entro un determinato orario, magari dopo aver cercato un parcheggio libero per l’auto, aspettare il mio turno, firmare fogli, ecc (e se sono proprio sfortunato la banca potrebbe anche applicarmi una commissione sull’operazione effettuata alla cassa). L’esempio è una semplificazione — ci mancherebbe — ma i vantaggi dell’internet banking nella maggior parte dei casi sono evidenti. Lo sanno bene, peraltro, i Finlandesi: il 93% di coloro che usano internet in Finlandia lo fa per gestire online i propri conti (e non sarà solo per il freddo che sentirebbero per raggiungere la banca…). Altrettanto virtuosi in questo senso sono olandesi, danesi, estoni e svedesi. In Italia siamo al 43%, meno della metà.
Dati simili li abbiamo rispetto al commercio elettronico. Sempre considerando gli italiani che hanno usato internet negli ultimi tre mesi, solo il 44% , meno della metà, ha acquistato prodotti online, contro una media europea del 68%, con picchi in Lussemburgo che sfiorano l’ottanta per cento. Qualcuno potrebbe dire che questo dato ci fa onore, perché puntiamo ad agevolare i piccoli commercianti locali, rispetto ai grandi store internazionali. Vero, anzi verissimo. Ma crediamo davvero che il dato sia supportato esclusivamente da motivazioni ideologiche?

Al di là delle statistiche, questi dati descrivono ancora una volta una società, quella italiana, che vive un rapporto conflittuale con la dimensione digitale. Da un lato c’è una iperconnettività delle persone che sono online a qualsiasi ora del giorno, sfruttando ogni pausa possibile dagli impegni quotidiani per buttare l’occhio alle notifiche di smarphone e tablet. Dall’altra, mi pare di notare una generale inconsapevolezza del fatto la tecnologia possa contribuire a semplificare molti aspetti della nostra vita e magari a renderla migliore (se il tempo che risparmio facendo il bonifico online lo posso dedicare a portare i miei bambini al parco giochi, certo la migliora). Ma come facciamo a superare questa conflittualità? Forse noi adulti potremmo provare a farci più spesso questa domanda, magari andando alla ricerca di strade nuove per riportare la tecnologia al suo ruolo di strumento a servizio della qualità della vita. Con i più giovani, non ho dubbi, serve l’educazione: percorsi seri di accompagnamento e integrazione della tecnologia nei processi formativi, spazi per la riflessione e l’approfondimento, regole chiare e condivise per gestire il tempo online e offline, confronto con gli esperti. Per questo la scuola non può voltare le spalle al digitale.
Essere ultimi non è mai piacevole. Essere penultimi non è una consolazione. Però questi dati possono essere la base per un approccio rinnovato a questi temi, che coinvolga le istituzioni, innanzi tutto, le imprese e la pubblica amministrazione, la scuola e l’università, le famiglie, ecc. Magari non vorremmo imitare i finlandesi — noi italiani abbiamo anche tante altre buone qualità — ma forse qualche passo avanti possiamo pure farlo.